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la mia storia

E’ iniziato tutto da alcuni movimenti scoordinati della mano sinistra: ho capito subito che si trattava di un problema neurologico ma non potevo immaginare cosa mi stesse aspettando. La diagnosi clinica è stata poi confermata dalla scintigrafia cui mi hanno sottoposto in ospedale: non c’erano dubbi, Malattia di Parkinson.

Avevo 43 anni ed è stato il giorno più brutto della mia vita. Non riuscivo ad accettare di soffrire di una malattia neurodegenerativa per cui non esiste cura. Una patologia irreversibile che può solo peggiorare nel tempo e che mi avrebbe progressivamente sottratto le mie capacità motorie. Ho iniziato a sentirmi prigioniera di un buco nero, mi sembrava di sprofondare sommersa dalla disperazione: in quei momenti, solo l’abbraccio di mio marito riusciva a riportarmi alla realtà.

Dopo aver realizzato che non sarei più stata la stessa persona, mi sono fatta forza pensando che avrei dovuto affrontare la malattia. E’ stato soprattutto grazie all’amore della mia famiglia che ho trovato il coraggio: all’inizio i sintomi erano lievi, non dovevo assumere farmaci né recarmi spesso dai medici, a volte nemmeno mi sentivo malata.

Ho iniziato ad alternare fasi in cui quasi mi sembrava che tutto fosse come sempre, ad altri momenti in cui ero sopraffatta dall’ansia fino a sperimentare veri e proprio attacchi di panico, terrorizzata da ciò che il futuro mi avrebbe riservato. Nonostante tutto, sono riuscita a gestire negli anni sia i miei impegni professionali nella clinica veterinaria della quale sono socio fondatore con mio marito, sia la routine quotidiana della vita famigliare, essendo all’epoca mamma di due figli adolescenti.

Fino alla decisione nel 2017, di affrontare l’intervento DBS, Deep Brain Stimulation, ossia una Stimolazione Cerebrale Profonda.

Il medico mi aveva spiegato che la DBS utilizza uno speciale dispositivo che viene impiantato chirurgicamente nel cervello, simile a un pacemaker, capace di inviare la stimolazione elettrica a determinate aree cerebrali, riducendo gli effetti della malattia di Parkinson. In pratica, sarebbero stati bloccati i segnali che causano i sintomi motori disabilitanti, con il vantaggio di rallentare l’avanzare della malattia. Mi preoccupava però, non solo che l’operazione riguardasse il cervello ma anche il fatto che avrei dovuto affrontarla in “awake surgery”, cioè da sveglia, perché è l’unico modo per il neurochirurgo di monitorare l’intervento mentre posiziona gli elettrodi nel cervello. Ho deciso di affrontare questa sfida ed è andato tutto bene, anche se posso dire che ci sia voluto molto coraggio.

Nel frattempo, avevo ripreso a nuotare: ho imparato questo sport quando ero bambina, ricoprendo in acqua il piacere di sentirmi come protetta. Non ho più smesso di allenarmi e abitando vicino al Lago Maggiore, mi sono appassionata alle gare in acque libere.

Lo sport mi ha aiutato fisicamente ma anche psicologicamente, facendomi sentire ancora “normale”: ho iniziato a coinvolgere alcune amiche fino a creare un gruppo di nuotatrici. Così è nata l’idea di percorrere a nuoto lo Stretto di Messina nell’estate del 2018 e da lì di “Swim for Parkinson”, evento sportivo che si sarebbe potuto ripetere negli anni a venire. E così è stato!
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Oggi i sintomi più fastidiosi sono la perdita di equilibrio che spesso mi porta a cadere, le fluttuazioni giornaliere nei movimenti, l’espressione del viso statica (io la definisco da pesce lesso!) e l’abbassamento del tono di voce.

La paura del futuro è costante, in certi momenti ammetto che è devastante. Ma è proprio quando la mente indulge in quei pensieri che per me è il momento di tuffarmi in acqua. E a tutti coloro che sono affetti dal Parkinson vorrei dire di non darsi per vinti, perché nonostante i problemi fisici, possiamo raggiungere obiettivi incredibili: praticate sport senza porvi limiti, ci si diverte e si sta meglio sia di testa sia fisicamente.

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